Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 56
aprile 1977


Rivista Anarchica Online

Ma c'è la C.N.T.!
di David Urbano

Dalle destre al PCE tutti insieme appassionatamente.
L'ascesa al potere di una classe media che ha capito i vantaggi di una svolta democratica e dell'inserimento della Spagna nel Mercato Comune - Il ruolo della cosiddetta opposizione politica e sindacale e quello dei lavoratori che, come sempre, restano esclusi dal processo decisionale - Agli anarchici, dunque, resta il difficile compito di costituire un'alternativa libertaria

Franco fu sempre ossessionato dall'idea di dare al suo dominio una proiezione immortale. Passare alla storia come il salvatore dell'Occidente, della fede cristiana e dell'imperitura grandezza di Spagna, questa era la sua pretesa. Ed è così che dedicò i suoi quarant'anni di potere assoluto alla costruzione di un complesso giuridico-istituzionale che, secondo la sua stessa definizione, lasciasse tutto predisposto dopo la sua morte. Certamente, la cosiddetta democrazia organica, ispirata al sistema corporativo del fascismo italiano, si adattava perfettamente alle aspirazioni dell'oligarchia latifondista e finanziaria, l'eterna detentrice del potere economico in Spagna e alla quale si aggregherebbe la oligarchia industriale della Catalogna e soprattutto dei Paesi Baschi. La democrazia organica assicurava all'oligarchia il controllo assoluto delle classi lavoratrici, attraverso le istituzioni pseudo-rappresentative create dal franchismo: il Municipio, la Famiglia ed il Sindacato, incaricato di incanalare la vita sociale e che attraverso un sistema di elezioni tanto complicato quanto limitato fornivano i rappresentanti a delle Cortes che a loro volta erano soggette ad altri organismi controllati direttamente da Franco, creando in questo modo l'apparato politico mummificato ed adeguato allo sfruttamento dei lavoratori. Naturalmente un simile sistema istituzionale non poteva stare in piedi senza l'appoggio incondizionato di un altro apparato ferocemente repressivo, formato dalla triade polizia-esercito-chiesa cattolica, col compito di sottomettere il popolo fisicamente e spiritualmente ai dettami del franchismo.

Ma la continuità del franchismo senza Franco era una pretesa che poteva allignare solo nella mente del dittatore e dei suoi ciechi collaboratori. Anche con il collocamento sul trono di un Re educato ad immagine e somiglianza della dittatura, la morte di Franco avrebbe causato il rapido crollo dell'apparato politico-istituzionale nonostante gli sfortunati tentativi riformisti del governo Arias-Fraga Iribarne, rimanendo, comunque, in piedi l'apparato poliziesco-militare. L'opposizione al franchismo, che per molti anni era stata realizzata esclusivamente dai lavoratori e da un settore minoritario di intellettuali ed universitari, si è vista improvvisamente rinforzata, dopo la morte di Franco, dall'irruzione di una potente classe media che aveva prosperato nei 40 anni di dittatura. Questa nuova borghesia, vigliacca come sempre è stata la borghesia spagnola nel momento di rivendicare il suo potere di fronte all'oligarchia, è comparsa in un contesto che le è straordinariamente favorevole. In effetti, davanti all'impossibilità di dare continuità al sistema franchista vista la pressione popolare e le esigenze straniere di liberalizzazione politica se la Spagna vuole integrarsi con pieno diritto negli organismi politici ed economici del Mercato Comune e della NATO, la borghesia spagnola, improvvisamente fautrice di un progetto democratico di parlamento occidentale, si presenta come alternativa stabilizzatrice del sistema politico spagnolo, all'interno della cerchia dei paesi democratici dell'Europa Occidentale. Ed è così che, nello spazio dei 18 mesi post-franchismo, la Spagna si appresta a passare, senza traumi rivoluzionari dalla democrazia organica di Franco alla democrazia di Yalta, spazzando via dall'Europa, almeno formalmente, l'ultimo governo fascista. Di fatto, ciò che attualmente si vuol realizzare in Spagna è la classica rivoluzione borghese tanto sospirata dai partiti socialista e comunista, anche se in questo caso, contrariamente a quanto accadde durante la guerra civile, la borghesia assume in prima persona il suo ruolo di protagonista invece di lasciarlo nelle mani del partito comunista.

Un cambiamento senza traumi rivoluzionari

Il fatto più sorprendente che caratterizza nella Spagna odierna il passaggio dal franchismo alla democrazia parlamentare, è il carattere pacifico e quasi indifferente alle masse popolari. Tutto questo contrasta curiosamente col contenuto delle grandi mobilitazioni viste in Spagna negli ultimi anni della dittatura. Pareva inconcepibile che la scomparsa di Franco non culminasse con una grande esplosione popolare che liberasse dalle enormi frustrazioni, repressioni e ingiustizie accumulate dal popolo lungo i quarant'anni di dittatura. Tuttavia, la realtà sta dimostrando che qualcosa è venuto a mancare nell'analisi di quelli tra noi che concepivano la fine del franchismo come un automatico prolungamento della lotta rivoluzionaria soffocata nel 1939.

Con ciò non voglio negare l'importanza delle mobilitazioni popolare che in un certo qual modo hanno notevolmente influito a seppellire il progetto riformista Arias-Fraga e ad ottenere la finzione dell'amnistia, ma queste sarebbero state completamente insufficienti - ad eccezione che in Euskadi, dove le lotte popolari sono radicalizzate per un forte sentimento nazionalista - se non fosse esistita la predisposizione al cambiamento da parte di un ampio settore della borghesia, in precedenza legata al franchismo e che ha capito i vantaggi del parlamentarismo per consolidare il suo potere a scapito dell'uso smodato della repressione fisica. Non c'è dunque dubbio che nel suo aspetto formale il mutamento politico in Spagna sta per essere totalmente monopolizzato dalla borghesia. Ed è proprio per questo motivo che non deve stupire nessuno il fatto che, nonostante il governo abbia chiaramente respinto solo un anno fa la possibilità che in Spagna venissero legalizzati i partiti politici, attualmente ci troviamo di fronte alla curiosa realtà che ci sono in Spagna ben novanta (90) partiti politici legalizzati, compreso il preteso terribile PCE che lo diverrà tra qualche giorno, dinnanzi alla più assoluta indifferenza da parte della gran maggioranza del popolo spagnolo, come se fosse cosciente che in fondo la legalizzazione dei partiti politici non modificherà sostanzialmente nulla della sua situazione. Qualsiasi osservatore può ogni giorno rendersi conto, se lo vuole, che la gente non si china a raccogliere gli opuscoli di propaganda politica lanciati dai militanti.

Il popolo è rimasto completamente fuori da ogni partecipazione diretta alla trasformazione politica; il passaggio alla democrazia si sta effettuando attraverso un accordo negoziato tra il potere e poche commissioni negoziatrici formate dalle burocrazie politiche, che non sono state nominate da nessun organismo popolare per realizzare la missione che esse stesse si sono proposte. Indubbiamente esiste un accordo, che va dall'estrema destra al PCE, perché il popolo arrivi alle elezioni legislative senza aver prima goduto di fatto o a parole, di quelle libertà che storicamente sono state appannaggio delle masse popolari, anche se solamente per un tempo breve, dopo la caduta di una dittatura.

La continuità del franchismo non era attuabile dopo la morte di Franco, ma il capitalismo spagnolo ci sta riuscendo con l'appoggio dell'opposizione politica e sindacale, cosa che realmente gli interessa sopra ogni altra cosa e nonostante la forma politica che possa adottare la struttura dello Stato: lasciare intatta l'esistenza di una società spagnola gerarchizzata, divisa in classi e guidata dai moderni metodi di condizionamento psicologico, caratteristici di ogni società di consumo. Su questo progetto convergono praticamente tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, che si apprestano ad affrontarsi nella battaglia elettorale. Perciò poco importa chi esca vincitore: le cose da realizzare sono già state concordate tra le quinte, alle spalle del popolo e in nessun caso potranno eccedere quanto realizzato nelle altre democrazie europee, a livello internazionale. In ogni modo, si può affermare senza paura di sbagliare che le destre usciranno trionfatrici dalla contesa elettorale. L'ultimo referendum ha chiaramente mostrato che quarant'anni di franchismo avevano abituato ampi strati della società spagnola ad accettare in totale mansuetudine gli ordini del potere, e sarebbe ingenuo credere che il potere rimarrà neutrale in questa lotta per l'ottenimento di una maggioranza parlamentare. Inoltre, una volta ammessa dal governo e dalle destre la necessità di istituzionalizzare una nuova legalità democratica, le sinistre rimangono senza "slogan" propagandistico, che le distingua dalle destre, da offrire alla loro ipotetica clientela elettorale. Non bisogna dimenticare, d'altra parte, l'estrema atomizzazione di cui soffre la sinistra spagnola, ancor più accentuata dalla sua ossessione di non allarmare le destre presentando un fronte elettorale comune. La cosiddetta "destra civilizzata" mieterà, insieme ai neo-franchisti dell'Alianza Popular, un'ampia vittoria elettorale, ad eccezione, forse, che in Euskadi ed in Catalogna, dove l'opposizione nazionalista controlla gran parte della borghesia e dove i partiti di sinistra raccoglieranno il voto che tradizionalmente sono soliti ottenere nei grandi agglomerati operai. Non esiste, nella Spagna di oggi, la formazione di un ampio fronte anti-elettorale, come fu prima della guerra civile l'anarcosindacalismo, capace di offrire alternative extra-parlamentari con grande incidenza in un breve termine di tempo, col che rimane garantito il passaggio pacifico alla democrazia borghese di stile occidentale.

Ripercussioni del mutamento politico sul movimento operaio

L'istituzione di una democrazia parlamentare richiede, come condizione per il suo buon funzionamento, l'arginamento delle rivendicazioni operaie entro canali organici controllati dalle burocrazie al servizio dei partiti politici e, di conseguenza, dello Stato. Sarebbe eccessivamente ingenuo pensare che, nel corso dei negoziati col potere, la commissione negoziatrice dell'opposizione si sia limitata a concordare il mutamento politico, lasciando da parte ciò che più interessa in questo momento al capitalismo spagnolo: il Patto Sociale.

Fu all'inizio del governo Suarez, l'estate scorsa, che cominciò ad intravedersi la possibilità reale che il governo riconoscesse alcune formazioni politiche di opposizione, come valide interlocutrici per concordare il contenuto del mutamento politico, ad eccezione del PCE. E fu anche - che coincidenza! - in quel periodo che il PCE preannunciava, per bocca dei suoi leaders sindacali delle Comisiones Obreras, l'arrivo di un "autunno caldo" a causa del deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, argomento che serviva a nascondere il sottofondo politico dell'allarme mediante l'utilizzo di una fraseologia pienamente economicistica. La minaccia di un autunno caldo era, quindi, la "spada di Damocle" che i leader delle Comisiones Obreras lasciavano sospesa sulla testa del governo, nel caso che questo non accettasse la presenza del PCE nella commissione negoziatrice dell'opposizione. La presenza del PCE in tale commissione venne alla fine accettata ed i partiti di sinistra riuscirono, attraverso i loro rispettivi organismi sindacali, a fare in modo che l'autunno rimanesse freddo come i precedenti, poiché se anche è vero che tali organismi sindacali non sono capaci di promuovere una grande e radicale mobilitazione operaia, possono invece impedire che si generalizzino delle lotte come quelle della ROCA, della NUMAX, ecc., attraverso l'utilizzo della minaccia, della paura, della calunnia e di altri metodi similari. Gli scioperi esemplari e veramente eroici come quelli portati avanti da fabbriche come la ROCA, completamente gestiti dalle assemblee di lavoratori e senza l'ingerenza delle burocrazie sindacali, avrebbero potuto assumere dimensione regionale e addirittura nazionale se non fosse stato per il boicottaggio dell'opposizione, che doveva offrire la pace sociale in cambio della sua istituzionalizzazione. Non bisogna nemmeno stupirsi del fatto che il governo Suarez permetta uno scandaloso rialzo dei prezzi, che promulghi decreti anti-operai tendenti ad incoraggiare il facile licenziamento dei lavoratori, ecc., vista la passività dell'opposizione politica e sindacale. Non c'è da meravigliarsi nemmeno per la lentezza con cui il governo ha affrontato la riforma sindacale. Su questo aspetto, le intenzioni del potere sembrano navigare nelle tenebre più fitte, anche se di fatto ciò che realmente si vuole è cercare una formula di compromesso tendente a conciliare la libertà sindacale con il mantenimento dell'apparato verticalista rinnovato con qualche ritocco, come organismo coordinatore e aggregante di tutte le forze sindacali. Per il momento, le centrali sindacali più disposte ad accettare la formula governativa sono le Comisiones Obreras e la USO. In effetti, queste due centrali sono nate all'interno stesso dell'apparato verticale, utilizzando i suoi canali elettorali e conquistando numerosi posti di collegamento, assessorati e presidenze della UTT (Unión de Trabajadores y Tecnicos della CNS). Si calcola che il 50% degli iscritti all'USO, ad esempio, abbiano cariche sindacali nella CNS. Così dunque si comprende facilmente il timore di queste due centrali sindacali di fronte ad un puro e semplice smantellamento dell'apparato verticale: tutt'e due sospettano che la cancellazione della CNS possa indebolire pericolosamente le loro stesse strutture organiche, totalmente mutuate dal verticalismo.

Esiste, in campo sindacale, un'innegabile coincidenza tra, da un lato le CC.OO. e l'USO, e dall'altro i settori più arretrati del franchismo, che difendono ad oltranza il mantenimento della CNS. Non c'è il minimo dubbio che in Spagna si stabilirebbe l'unicità sindacale sullo stile portoghese se non fosse per l'opposizione della UGT. Sembra strano che un sindacato così riformista come la UGT, di ideologia filogovernativa socialdemocratica, si opponga così energicamente al mantenimento del sindacato verticale (tenendo d'altra parte presente che ai tempi della dittatura di Primo de Rivera la UGT fu protagonista, con Largo Caballero, allora ministro del lavoro, di un tentativo di "verticalizzare" il sindacalismo spagnolo di quel tempo), ma per comprendere questa posizione occorre non dimenticare la scarsa incidenza della UGT nel mondo del lavoro nel periodo franchista, essendo praticamente rimasta relegata nel dimenticatoio delle reliquie storiche. Ma i dirigenti della UGT, che sono anche i dirigenti del PSOE, sanno di poter rivendicare un'istituzionalizzazione formale del loro apparato attraverso delle sigle storiche e, ciò che è più importante, un grande patrimonio economico che permetterà la rapida crescita della centrale sindacale socialista. È facile prevedere che tali rivendicazioni saranno soddisfatte in quanto la UGT dispone, innanzitutto, di un partito-balia che sarà chiamato a svolgere presto un ruolo di governo molto utile per la borghesia liberale.

L'unica ad opporsi in modo chiaro al mantenimento dell'apparato verticalista è la CNT. Gli argomenti della CNT sono fondamentalmente ideologici, ma tali argomenti non hanno peso per il potere. È chiaro che la CNT non dispone - fortunatamente - di un partito-balia accomodato nell'anticamera dei ministeri, ma non dispone nemmeno - e questo è invece grave - della capacità necessaria per offrire un'alternativa valida e attuale, alle migliaia di lavoratori che respingono il verticalismo in ogni sua variante. L'immediato futuro della CNT è ancora una grande incognita.

Il fatto è che il sindacalismo spagnolo ha oggi un significato terribilmente artificiale; nato come anticorpo rivitalizzante all'interno del verticalismo o ricostruito precipitosamente dopo la morte di Franco, in qualunque dei due casi la sua ricomparsa appare come estranea alle lotte reali del proletariato spagnolo, abituato a scontrarsi col capitalismo e con lo Stato al di fuori delle centrali sindacali che, d'altra parte, non potevano esistere realmente per ragioni di clandestinità. Ma il mutamento politico ha ugualmente bisogno dell'istituzionalizzazione del movimento operaio ed è a questo compito che si sono dedicate le centrali sindacali, compresa, e forse suo malgrado, la stessa CNT. Poco importa che la comparsa, o ricomparsa, delle centrali sindacali obbediscano a interessi di governo, di partito, di gruppo, di ideologia o di burocrazia in corso di formazione accelerata; l'importante è che poi i lavoratori spagnoli, se non si produce un'esplosione generale, dovranno presentare le loro rivendicazioni attraverso istituzioni interposte: le Centrali Sindacali, incaricate di vigilare perché tutto avvenga nell'ambito di un ordine, naturalmente democratico. Nel frattempo, gli operai della ROCA devono ritornare ai loro posti di lavoro, con le lacrime agli occhi, in adempimento del patto sociale firmato da una commissione negoziatrice fantasma e dal governo.

La situazione spagnola, sia in campo politico che sociale, tende a conformarsi agli altri paesi dell'Europa occidentale. Ed in effetti questo è il corso che va assumendo il processo di trasformazione politica, sostenuto tacitamente ed esplicitamente dall'opposizione. Ebbene, non dobbiamo perdere di vista che una trasformazione avvenuta tanto in superficie, lascia necessariamente nel sottosuolo della vita politica e sociale del paese, una serie di frustrazioni che possono trasformarsi, nel momento più inatteso, in crisi rivoluzionaria aperta. Teniamo solo presente il terribile deterioramento della situazione economica spagnola, che quotidianamente fa ingrossare le file di un esercito di disoccupati, senza che il governo sia capace di adottare misure che mitighino la situazione. Alcune regioni come l'Andalusia, l'Estremadura, la Galizia, ecc. vivono situazioni drammatiche. In campo politico, tutte le forze che hanno appoggiato il franchismo continuano ad occupare i posti chiave dell'amministrazione. Esiste un'enorme burocrazia (non tecnica, ma amministrativa) creata dal franchismo e che continuerà ad adempiere fedelmente la sua missione di prostituta del potere. Marcelino Camacho, per non citare che un solo esempio, disse che i sessantamila (60.000) impiegati della CNS (generalmente provenienti dalla Falange) erano onesti lavoratori che dovevano essere assorbiti nei ruoli dalle nuove centrali sindacali, soprattutto le CC.OO. E nonostante il fatto che la burocrazia amministrativa cambi di colore come i camaleonti, rimane sempre la nostalgia del dispotismo perduto.... Ed occorre porre particolare attenzione al fatto che l'intero apparato repressivo franchista, compresa la polizia politico-sociale, è intatto. L'opposizione si mantiene in un mutismo più che sospetto di fronte a questo problema, pensando semplicemente che i difensori del fascismo di ieri potrebbero essere i difensori della democrazia di domani, e, nel frattempo, la polizia continua a sparare tranquillamente con la stessa impunità di prima e a proteggere i gruppi d'estrema destra.

La nuova democrazia spagnola nasce col marchio della protezione legale di un apparato repressivo ereditato dal franchismo, quanto tarderà il protettore a trasformarsi di nuovo in carnefice? Una democrazia come quella che sta sviluppandosi in Spagna sarebbe attuabile con tutta sicurezza se il paese godesse, ad esempio, di una prosperità economica e sociale come la Germania Federale, che si può permettere di chiudere qualsiasi bocca dissidente col denaro. Ma questo non è il caso della Spagna: qui esiste una profonda crisi sociale che scoppierà con lotte radicali nonostante quanto si propongono di fare le centrali sindacali. Esiste un malcontento generalizzato in tutti gli aspetti, con una gioventù che attende ancora di poter respirare. C'è il problema del nazionalismo in Euskadi ed in Catalogna, con rivendicazioni autonomistiche in varie regioni. Vedremo poi che cosa accadrà col processo di trasformazione democratica quando questa crisi generalizzata emergerà alla superficie con tutta la sua radicalizzazione. Allora si individueranno, presumibilmente, le tre grandi tendenze che acquistano dimensione storica: l'apparato politico e poliziesco-militare del franchismo, spalleggiato dai settori più arretrati dell'oligarchia; l'ordine democratico borghese anch'esso sostenuto da ampi settori economici e dall'opposizione, con le loro rispettive appendici sindacali; e una tendenza rivoluzionaria, ampia ma dispersa, marcatamente libertaria, scarsamente preparata a far fronte all'aggressione dell'"ordine" e dell'autorità. La soluzione di questo probabile scontro è una responsabilità che ricade soprattutto sugli anarchici. Sapremo essere all'altezza delle circostanze?

Berneri e la reazione stalinista

Quarant'anni fa, nei primi giorni di maggio, Barcellona era teatro di uno degli episodi più significativi dell'intera rivoluzione sociale: il golpe controrivoluzionario messo in atto dalle forze poliziesche comuniste agli ordini degli emissari della Terza Internazionale e, in particolare, dei commissari della famigerata G.P.U. (la polizia segreta stalinista). L'obiettivo dei comunisti era chiaro: stroncare una volta per tutte la volontà rivoluzionaria del proletariato, far rifluire il grande movimento dell'autogestione nelle fabbriche e nelle campagne, eliminare la forza organizzata dell'anarchismo. Per attuarlo i comunisti dettero l'assalto a numerosi edifici controllati dagli anarchici (primo fra tutti, la centrale telefonica), terrorizzando i lavoratori e dando inizio ad una vera e propria "caccia all'anarchico" che provocò centinaia di vittime in campo rivoluzionario. Ricordiamo, tra gli altri, gli anarchici italiani Camillo Berneri e Francesco Barbieri, entrambi accorsi in Spagna dai rispettivi Paesi in cui si trovavano esuli (Berneri in Francia, Barbieri in Argentina) per sfuggire al regime fascista. Berneri, in particolare, aveva sostenuto nelle settimane precedenti una vivace polemica con quei dirigenti della C.N.T. che sostenevano la necessità dell'unità a qualsiasi costo del fronte antifascista: con grande lucidità aveva indicato il ruolo controrivoluzionario dei comunisti e la necessità di rifiutare il falso dilemma tra lotta antifascista e rivoluzione sociale, due termini che a suo avviso - giustamente - non potevano essere mai separati.

La controrivoluzione stalinista e l'eroica resistenza dei settori rivoluzionari del proletariato barcellonese rappresentano ancora oggi i termini del dissidio insanabile tra la concezione libertaria e quella autoritaria della rivoluzione sociale. La tragica lezione delle "giornate di maggio" non può e non deve essere dimenticata.