Rivista Anarchica Online
Ma c'è la C.N.T.!
di David Urbano
Dalle destre al PCE tutti insieme appassionatamente. L'ascesa al potere di una classe media che ha capito i vantaggi di una svolta democratica e
dell'inserimento della Spagna nel Mercato Comune - Il ruolo della cosiddetta opposizione politica
e sindacale e quello dei lavoratori che, come sempre, restano esclusi dal processo decisionale - Agli
anarchici, dunque, resta il difficile compito di costituire un'alternativa libertaria
Franco fu sempre ossessionato dall'idea di dare al suo dominio una proiezione immortale. Passare alla
storia come il salvatore dell'Occidente, della fede cristiana e dell'imperitura grandezza di Spagna, questa
era la sua pretesa. Ed è così che dedicò i suoi quarant'anni di potere assoluto alla costruzione di un
complesso giuridico-istituzionale che, secondo la sua stessa definizione, lasciasse tutto predisposto dopo
la sua morte. Certamente, la cosiddetta democrazia organica, ispirata al sistema corporativo del fascismo
italiano, si adattava perfettamente alle aspirazioni dell'oligarchia latifondista e finanziaria, l'eterna
detentrice del potere economico in Spagna e alla quale si aggregherebbe la oligarchia industriale della
Catalogna e soprattutto dei Paesi Baschi. La democrazia organica assicurava all'oligarchia il controllo
assoluto delle classi lavoratrici, attraverso le istituzioni pseudo-rappresentative create dal franchismo:
il Municipio, la Famiglia ed il Sindacato, incaricato di incanalare la vita sociale e che attraverso un
sistema di elezioni tanto complicato quanto limitato fornivano i rappresentanti a delle Cortes che a loro
volta erano soggette ad altri organismi controllati direttamente da Franco, creando in questo modo
l'apparato politico mummificato ed adeguato allo sfruttamento dei lavoratori. Naturalmente un simile
sistema istituzionale non poteva stare in piedi senza l'appoggio incondizionato di un altro apparato
ferocemente repressivo, formato dalla triade polizia-esercito-chiesa cattolica, col compito di
sottomettere il popolo fisicamente e spiritualmente ai dettami del franchismo.
Ma la continuità del franchismo senza Franco era una pretesa che poteva allignare solo nella mente del
dittatore e dei suoi ciechi collaboratori. Anche con il collocamento sul trono di un Re educato ad
immagine e somiglianza della dittatura, la morte di Franco avrebbe causato il rapido crollo dell'apparato
politico-istituzionale nonostante gli sfortunati tentativi riformisti del governo Arias-Fraga Iribarne,
rimanendo, comunque, in piedi l'apparato poliziesco-militare. L'opposizione al franchismo, che per molti
anni era stata realizzata esclusivamente dai lavoratori e da un settore minoritario di intellettuali ed
universitari, si è vista improvvisamente rinforzata, dopo la morte di Franco, dall'irruzione di una potente
classe media che aveva prosperato nei 40 anni di dittatura. Questa nuova borghesia, vigliacca come
sempre è stata la borghesia spagnola nel momento di rivendicare il suo potere di fronte all'oligarchia, è
comparsa in un contesto che le è straordinariamente favorevole. In effetti, davanti all'impossibilità di dare
continuità al sistema franchista vista la pressione popolare e le esigenze straniere di liberalizzazione
politica se la Spagna vuole integrarsi con pieno diritto negli organismi politici ed economici del Mercato
Comune e della NATO, la borghesia spagnola, improvvisamente fautrice di un progetto democratico di
parlamento occidentale, si presenta come alternativa stabilizzatrice del sistema politico spagnolo,
all'interno della cerchia dei paesi democratici dell'Europa Occidentale. Ed è così che, nello spazio dei 18
mesi post-franchismo, la Spagna si appresta a passare, senza traumi rivoluzionari dalla democrazia
organica di Franco alla democrazia di Yalta, spazzando via dall'Europa, almeno formalmente, l'ultimo
governo fascista. Di fatto, ciò che attualmente si vuol realizzare in Spagna è la classica rivoluzione
borghese tanto sospirata dai partiti socialista e comunista, anche se in questo caso, contrariamente a
quanto accadde durante la guerra civile, la borghesia assume in prima persona il suo ruolo di
protagonista invece di lasciarlo nelle mani del partito comunista.
Un cambiamento senza traumi rivoluzionari
Il fatto più sorprendente che caratterizza nella Spagna odierna il passaggio dal franchismo alla
democrazia parlamentare, è il carattere pacifico e quasi indifferente alle masse popolari. Tutto questo
contrasta curiosamente col contenuto delle grandi mobilitazioni viste in Spagna negli ultimi anni della
dittatura. Pareva inconcepibile che la scomparsa di Franco non culminasse con una grande esplosione
popolare che liberasse dalle enormi frustrazioni, repressioni e ingiustizie accumulate dal popolo lungo
i quarant'anni di dittatura. Tuttavia, la realtà sta dimostrando che qualcosa è venuto a mancare nell'analisi
di quelli tra noi che concepivano la fine del franchismo come un automatico prolungamento della lotta
rivoluzionaria soffocata nel 1939.
Con ciò non voglio negare l'importanza delle mobilitazioni popolare che in un certo qual modo hanno
notevolmente influito a seppellire il progetto riformista Arias-Fraga e ad ottenere la finzione
dell'amnistia, ma queste sarebbero state completamente insufficienti - ad eccezione che in Euskadi, dove
le lotte popolari sono radicalizzate per un forte sentimento nazionalista - se non fosse esistita la
predisposizione al cambiamento da parte di un ampio settore della borghesia, in precedenza legata al
franchismo e che ha capito i vantaggi del parlamentarismo per consolidare il suo potere a scapito dell'uso
smodato della repressione fisica. Non c'è dunque dubbio che nel suo aspetto formale il mutamento
politico in Spagna sta per essere totalmente monopolizzato dalla borghesia. Ed è proprio per questo
motivo che non deve stupire nessuno il fatto che, nonostante il governo abbia chiaramente respinto solo
un anno fa la possibilità che in Spagna venissero legalizzati i partiti politici, attualmente ci troviamo di
fronte alla curiosa realtà che ci sono in Spagna ben novanta (90) partiti politici legalizzati, compreso il
preteso terribile PCE che lo diverrà tra qualche giorno, dinnanzi alla più assoluta indifferenza da parte
della gran maggioranza del popolo spagnolo, come se fosse cosciente che in fondo la legalizzazione dei
partiti politici non modificherà sostanzialmente nulla della sua situazione. Qualsiasi osservatore può ogni
giorno rendersi conto, se lo vuole, che la gente non si china a raccogliere gli opuscoli di propaganda
politica lanciati dai militanti.
Il popolo è rimasto completamente fuori da ogni partecipazione diretta alla trasformazione politica; il
passaggio alla democrazia si sta effettuando attraverso un accordo negoziato tra il potere e poche
commissioni negoziatrici formate dalle burocrazie politiche, che non sono state nominate da nessun
organismo popolare per realizzare la missione che esse stesse si sono proposte. Indubbiamente esiste un
accordo, che va dall'estrema destra al PCE, perché il popolo arrivi alle elezioni legislative senza aver
prima goduto di fatto o a parole, di quelle libertà che storicamente sono state appannaggio delle masse
popolari, anche se solamente per un tempo breve, dopo la caduta di una dittatura.
La continuità del franchismo non era attuabile dopo la morte di Franco, ma il capitalismo spagnolo ci
sta riuscendo con l'appoggio dell'opposizione politica e sindacale, cosa che realmente gli interessa sopra
ogni altra cosa e nonostante la forma politica che possa adottare la struttura dello Stato: lasciare intatta
l'esistenza di una società spagnola gerarchizzata, divisa in classi e guidata dai moderni metodi di
condizionamento psicologico, caratteristici di ogni società di consumo. Su questo progetto convergono
praticamente tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, che si apprestano ad affrontarsi nella battaglia
elettorale. Perciò poco importa chi esca vincitore: le cose da realizzare sono già state concordate tra le
quinte, alle spalle del popolo e in nessun caso potranno eccedere quanto realizzato nelle altre democrazie
europee, a livello internazionale. In ogni modo, si può affermare senza paura di sbagliare che le destre
usciranno trionfatrici dalla contesa elettorale. L'ultimo referendum ha chiaramente mostrato che
quarant'anni di franchismo avevano abituato ampi strati della società spagnola ad accettare in totale
mansuetudine gli ordini del potere, e sarebbe ingenuo credere che il potere rimarrà neutrale in questa
lotta per l'ottenimento di una maggioranza parlamentare. Inoltre, una volta ammessa dal governo e dalle
destre la necessità di istituzionalizzare una nuova legalità democratica, le sinistre rimangono senza
"slogan" propagandistico, che le distingua dalle destre, da offrire alla loro ipotetica clientela elettorale.
Non bisogna dimenticare, d'altra parte, l'estrema atomizzazione di cui soffre la sinistra spagnola, ancor
più accentuata dalla sua ossessione di non allarmare le destre presentando un fronte elettorale comune.
La cosiddetta "destra civilizzata" mieterà, insieme ai neo-franchisti dell'Alianza Popular, un'ampia vittoria
elettorale, ad eccezione, forse, che in Euskadi ed in Catalogna, dove l'opposizione nazionalista controlla
gran parte della borghesia e dove i partiti di sinistra raccoglieranno il voto che tradizionalmente sono
soliti ottenere nei grandi agglomerati operai. Non esiste, nella Spagna di oggi, la formazione di un ampio
fronte anti-elettorale, come fu prima della guerra civile l'anarcosindacalismo, capace di offrire alternative
extra-parlamentari con grande incidenza in un breve termine di tempo, col che rimane garantito il
passaggio pacifico alla democrazia borghese di stile occidentale.
Ripercussioni del mutamento politico sul movimento operaio
L'istituzione di una democrazia parlamentare richiede, come condizione per il suo buon funzionamento,
l'arginamento delle rivendicazioni operaie entro canali organici controllati dalle burocrazie al servizio
dei partiti politici e, di conseguenza, dello Stato. Sarebbe eccessivamente ingenuo pensare che, nel corso
dei negoziati col potere, la commissione negoziatrice dell'opposizione si sia limitata a concordare il
mutamento politico, lasciando da parte ciò che più interessa in questo momento al capitalismo spagnolo:
il Patto Sociale.
Fu all'inizio del governo Suarez, l'estate scorsa, che cominciò ad intravedersi la possibilità reale che il
governo riconoscesse alcune formazioni politiche di opposizione, come valide interlocutrici per
concordare il contenuto del mutamento politico, ad eccezione del PCE. E fu anche - che coincidenza! -
in quel periodo che il PCE preannunciava, per bocca dei suoi leaders sindacali delle Comisiones Obreras,
l'arrivo di un "autunno caldo" a causa del deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori,
argomento che serviva a nascondere il sottofondo politico dell'allarme mediante l'utilizzo di una
fraseologia pienamente economicistica. La minaccia di un autunno caldo era, quindi, la "spada di
Damocle" che i leader delle Comisiones Obreras lasciavano sospesa sulla testa del governo, nel caso che
questo non accettasse la presenza del PCE nella commissione negoziatrice dell'opposizione. La presenza
del PCE in tale commissione venne alla fine accettata ed i partiti di sinistra riuscirono, attraverso i loro
rispettivi organismi sindacali, a fare in modo che l'autunno rimanesse freddo come i precedenti, poiché
se anche è vero che tali organismi sindacali non sono capaci di promuovere una grande e radicale
mobilitazione operaia, possono invece impedire che si generalizzino delle lotte come quelle della ROCA,
della NUMAX, ecc., attraverso l'utilizzo della minaccia, della paura, della calunnia e di altri metodi
similari. Gli scioperi esemplari e veramente eroici come quelli portati avanti da fabbriche come la ROCA,
completamente gestiti dalle assemblee di lavoratori e senza l'ingerenza delle burocrazie sindacali,
avrebbero potuto assumere dimensione regionale e addirittura nazionale se non fosse stato per il
boicottaggio dell'opposizione, che doveva offrire la pace sociale in cambio della sua istituzionalizzazione.
Non bisogna nemmeno stupirsi del fatto che il governo Suarez permetta uno scandaloso rialzo dei prezzi,
che promulghi decreti anti-operai tendenti ad incoraggiare il facile licenziamento dei lavoratori, ecc.,
vista la passività dell'opposizione politica e sindacale. Non c'è da meravigliarsi nemmeno per la lentezza
con cui il governo ha affrontato la riforma sindacale. Su questo aspetto, le intenzioni del potere
sembrano navigare nelle tenebre più fitte, anche se di fatto ciò che realmente si vuole è cercare una
formula di compromesso tendente a conciliare la libertà sindacale con il mantenimento dell'apparato
verticalista rinnovato con qualche ritocco, come organismo coordinatore e aggregante di tutte le forze
sindacali. Per il momento, le centrali sindacali più disposte ad accettare la formula governativa sono le
Comisiones Obreras e la USO. In effetti, queste due centrali sono nate all'interno stesso dell'apparato
verticale, utilizzando i suoi canali elettorali e conquistando numerosi posti di collegamento, assessorati
e presidenze della UTT (Unión de Trabajadores y Tecnicos della CNS). Si calcola che il 50% degli
iscritti all'USO, ad esempio, abbiano cariche sindacali nella CNS. Così dunque si comprende facilmente
il timore di queste due centrali sindacali di fronte ad un puro e semplice smantellamento dell'apparato
verticale: tutt'e due sospettano che la cancellazione della CNS possa indebolire pericolosamente le loro
stesse strutture organiche, totalmente mutuate dal verticalismo.
Esiste, in campo sindacale, un'innegabile coincidenza tra, da un lato le CC.OO. e l'USO, e dall'altro i
settori più arretrati del franchismo, che difendono ad oltranza il mantenimento della CNS. Non c'è il
minimo dubbio che in Spagna si stabilirebbe l'unicità sindacale sullo stile portoghese se non fosse per
l'opposizione della UGT. Sembra strano che un sindacato così riformista come la UGT, di ideologia
filogovernativa socialdemocratica, si opponga così energicamente al mantenimento del sindacato
verticale (tenendo d'altra parte presente che ai tempi della dittatura di Primo de Rivera la UGT fu
protagonista, con Largo Caballero, allora ministro del lavoro, di un tentativo di "verticalizzare" il
sindacalismo spagnolo di quel tempo), ma per comprendere questa posizione occorre non dimenticare
la scarsa incidenza della UGT nel mondo del lavoro nel periodo franchista, essendo praticamente rimasta
relegata nel dimenticatoio delle reliquie storiche. Ma i dirigenti della UGT, che sono anche i dirigenti del
PSOE, sanno di poter rivendicare un'istituzionalizzazione formale del loro apparato attraverso delle sigle
storiche e, ciò che è più importante, un grande patrimonio economico che permetterà la rapida crescita
della centrale sindacale socialista. È facile prevedere che tali rivendicazioni saranno soddisfatte in quanto
la UGT dispone, innanzitutto, di un partito-balia che sarà chiamato a svolgere presto un ruolo di governo
molto utile per la borghesia liberale.
L'unica ad opporsi in modo chiaro al mantenimento dell'apparato verticalista è la CNT. Gli argomenti
della CNT sono fondamentalmente ideologici, ma tali argomenti non hanno peso per il potere. È chiaro
che la CNT non dispone - fortunatamente - di un partito-balia accomodato nell'anticamera dei ministeri,
ma non dispone nemmeno - e questo è invece grave - della capacità necessaria per offrire un'alternativa
valida e attuale, alle migliaia di lavoratori che respingono il verticalismo in ogni sua variante.
L'immediato futuro della CNT è ancora una grande incognita.
Il fatto è che il sindacalismo spagnolo ha oggi un significato terribilmente artificiale; nato come anticorpo
rivitalizzante all'interno del verticalismo o ricostruito precipitosamente dopo la morte di Franco, in
qualunque dei due casi la sua ricomparsa appare come estranea alle lotte reali del proletariato spagnolo,
abituato a scontrarsi col capitalismo e con lo Stato al di fuori delle centrali sindacali che, d'altra parte,
non potevano esistere realmente per ragioni di clandestinità. Ma il mutamento politico ha ugualmente
bisogno dell'istituzionalizzazione del movimento operaio ed è a questo compito che si sono dedicate le
centrali sindacali, compresa, e forse suo malgrado, la stessa CNT. Poco importa che la comparsa, o
ricomparsa, delle centrali sindacali obbediscano a interessi di governo, di partito, di gruppo, di ideologia
o di burocrazia in corso di formazione accelerata; l'importante è che poi i lavoratori spagnoli, se non si
produce un'esplosione generale, dovranno presentare le loro rivendicazioni attraverso istituzioni
interposte: le Centrali Sindacali, incaricate di vigilare perché tutto avvenga nell'ambito di un ordine,
naturalmente democratico. Nel frattempo, gli operai della ROCA devono ritornare ai loro posti di lavoro,
con le lacrime agli occhi, in adempimento del patto sociale firmato da una commissione negoziatrice
fantasma e dal governo.
La situazione spagnola, sia in campo politico che sociale, tende a conformarsi agli altri paesi dell'Europa
occidentale. Ed in effetti questo è il corso che va assumendo il processo di trasformazione politica,
sostenuto tacitamente ed esplicitamente dall'opposizione. Ebbene, non dobbiamo perdere di vista che
una trasformazione avvenuta tanto in superficie, lascia necessariamente nel sottosuolo della vita politica
e sociale del paese, una serie di frustrazioni che possono trasformarsi, nel momento più inatteso, in crisi
rivoluzionaria aperta. Teniamo solo presente il terribile deterioramento della situazione economica
spagnola, che quotidianamente fa ingrossare le file di un esercito di disoccupati, senza che il governo
sia capace di adottare misure che mitighino la situazione. Alcune regioni come l'Andalusia,
l'Estremadura, la Galizia, ecc. vivono situazioni drammatiche. In campo politico, tutte le forze che hanno
appoggiato il franchismo continuano ad occupare i posti chiave dell'amministrazione. Esiste un'enorme
burocrazia (non tecnica, ma amministrativa) creata dal franchismo e che continuerà ad adempiere
fedelmente la sua missione di prostituta del potere. Marcelino Camacho, per non citare che un solo
esempio, disse che i sessantamila (60.000) impiegati della CNS (generalmente provenienti dalla Falange)
erano onesti lavoratori che dovevano essere assorbiti nei ruoli dalle nuove centrali sindacali, soprattutto
le CC.OO. E nonostante il fatto che la burocrazia amministrativa cambi di colore come i camaleonti,
rimane sempre la nostalgia del dispotismo perduto.... Ed occorre porre particolare attenzione al fatto
che l'intero apparato repressivo franchista, compresa la polizia politico-sociale, è intatto. L'opposizione
si mantiene in un mutismo più che sospetto di fronte a questo problema, pensando semplicemente che
i difensori del fascismo di ieri potrebbero essere i difensori della democrazia di domani, e, nel frattempo,
la polizia continua a sparare tranquillamente con la stessa impunità di prima e a proteggere i gruppi
d'estrema destra.
La nuova democrazia spagnola nasce col marchio della protezione legale di un apparato repressivo
ereditato dal franchismo, quanto tarderà il protettore a trasformarsi di nuovo in carnefice? Una
democrazia come quella che sta sviluppandosi in Spagna sarebbe attuabile con tutta sicurezza se il paese
godesse, ad esempio, di una prosperità economica e sociale come la Germania Federale, che si può
permettere di chiudere qualsiasi bocca dissidente col denaro. Ma questo non è il caso della Spagna: qui
esiste una profonda crisi sociale che scoppierà con lotte radicali nonostante quanto si propongono di fare
le centrali sindacali. Esiste un malcontento generalizzato in tutti gli aspetti, con una gioventù che attende
ancora di poter respirare. C'è il problema del nazionalismo in Euskadi ed in Catalogna, con rivendicazioni
autonomistiche in varie regioni. Vedremo poi che cosa accadrà col processo di trasformazione
democratica quando questa crisi generalizzata emergerà alla superficie con tutta la sua radicalizzazione.
Allora si individueranno, presumibilmente, le tre grandi tendenze che acquistano dimensione storica:
l'apparato politico e poliziesco-militare del franchismo, spalleggiato dai settori più arretrati
dell'oligarchia; l'ordine democratico borghese anch'esso sostenuto da ampi settori economici e
dall'opposizione, con le loro rispettive appendici sindacali; e una tendenza rivoluzionaria, ampia ma
dispersa, marcatamente libertaria, scarsamente preparata a far fronte all'aggressione dell'"ordine" e
dell'autorità. La soluzione di questo probabile scontro è una responsabilità che ricade soprattutto sugli
anarchici. Sapremo essere all'altezza delle circostanze?
Berneri e la reazione stalinista
Quarant'anni fa, nei primi giorni di maggio, Barcellona era teatro di uno degli episodi più significativi
dell'intera rivoluzione sociale: il golpe controrivoluzionario messo in atto dalle forze poliziesche
comuniste agli ordini degli emissari della Terza Internazionale e, in particolare, dei commissari della
famigerata G.P.U. (la polizia segreta stalinista). L'obiettivo dei comunisti era chiaro: stroncare una volta
per tutte la volontà rivoluzionaria del proletariato, far rifluire il grande movimento dell'autogestione nelle
fabbriche e nelle campagne, eliminare la forza organizzata dell'anarchismo. Per attuarlo i comunisti
dettero l'assalto a numerosi edifici controllati dagli anarchici (primo fra tutti, la centrale telefonica),
terrorizzando i lavoratori e dando inizio ad una vera e propria "caccia all'anarchico" che provocò
centinaia di vittime in campo rivoluzionario. Ricordiamo, tra gli altri, gli anarchici italiani Camillo Berneri
e Francesco Barbieri, entrambi accorsi in Spagna dai rispettivi Paesi in cui si trovavano esuli (Berneri
in Francia, Barbieri in Argentina) per sfuggire al regime fascista. Berneri, in particolare, aveva sostenuto
nelle settimane precedenti una vivace polemica con quei dirigenti della C.N.T. che sostenevano la
necessità dell'unità a qualsiasi costo del fronte antifascista: con grande lucidità aveva indicato il ruolo
controrivoluzionario dei comunisti e la necessità di rifiutare il falso dilemma tra lotta antifascista e
rivoluzione sociale, due termini che a suo avviso - giustamente - non potevano essere mai separati.
La controrivoluzione stalinista e l'eroica resistenza dei settori rivoluzionari del proletariato barcellonese
rappresentano ancora oggi i termini del dissidio insanabile tra la concezione libertaria e quella autoritaria
della rivoluzione sociale. La tragica lezione delle "giornate di maggio" non può e non deve essere
dimenticata.
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